Stipsi

STIPSI: DEFINIZIONE E EPIDEMIOLOGIA

La stipsi è un disturbo dell’evacuazione che viene definito, secondo i criteri di Roma, dalla presenza di almeno due delle seguenti caratteristiche per un periodo superiore ai tre mesi:

  • Ponzamento durante almeno il 25% delle evacuazioni;
  • Feci dure in almeno il 25% delle evacuazioni;
  • Sensazione di evacuazione incompleta in almeno il 25% delle evacuazioni;
  • Manovre manuali (es svuotamento digitale, sostegno del pavimento pelvico) in almeno il 25% delle evacuazioni;
  • Sensazione di ostruzione o impatto anorettale in almeno il 25% delle evacuazioni;
  • Meno di 3 evacuazioni a settimana.

A seconda dei vari studi, la prevalenza di stipsi nei paesi europei varia tra il 3 e il 31%, ma una metanalisi che arruolava complessivamente oltre 260.000 soggetti, ha calcolato una prevalenza media del 14%. La stipsi è più frequente in soggetti di sesso femminile (prevalenza del doppio o del triplo) ed aumenta all’avanzare dell’età (specie in relazione all’allettamento). Tra gli altri fattori di rischio ricordiamo un basso livello di istruzione o socio-economico, la scarsa attività fisica e l’etnia non caucasica.

CLASSIFICAZIONE E EZIOPATOGENESI

La stipsi può essere classificata in due grandi categorie:

  • Stipsi secondaria o da cause organiche;
  • Stipsi idiopatica o funzionale.

Tra le cause di stipsi secondaria menzioniamo le più comuni, che sono:

  • Farmaci, in particolare oppioidi (fentanyl, morfina, loperamide), anticolinergici, farmaci psicotropi (antidepressivi triciclici, antipsicotici, farmaci usati per il m. di Parkinson), calcio-antagonisti, diuretici e anticonvulsivanti (fenobarbital, carbamazepina, fenitoina);
  • Malattie metaboliche ed endocrine: diabete, feocromocitoma, ipotiroidismo, ipoparatiroidismo, panipopituitarismo, gravidanza (a causa dell’eccesso di progesterone);
  • Malattie neurologiche: Ictus, Parkinson, demenze, lesioni del midollo spinale, sclerosi multipla, neuropatie autonomiche, depressione;
  • Malattie miopatiche: amiloidosi, atrofia sistemica multipla, miosite/dermatomiosite;
  • Ostruzioni meccaniche: tumori del colon-retto, compressione ab estrinseco del colon, rettocele, stenosi del viscere o stenosi anali.

Le stipsi funzionale, invece, possono essere ascritte a tre principali sottocategorie:

  • Stipsi con normale transito: si tratta di forme in cui la velocità di progressione del materiale fecale è nella norma. Il paziente solitamente lamenta evacuazioni incomplete e talora dolore addominale. Alla base di tale forma potrebbero esserci alterazioni dei meccanismi sensitivi e motori anorettali. Una ridotta sensibilità rettale sarebbe perciò alla base di una minor potenza dello stimolo evacuativo.
  • Stipsi con transito rallentato: in questa categoria di stipsi si verifica un ridotto numero di evacuazioni legato a un rallentamento del transito colico. Si tratta solitamente di giovani donne con meno di un’evacuazione a settimana e dolore addominale. L’inerzia intrinseca della funzione motoria colica fa sì che non ci sia una risposta efficace a farmaci come bisacodile o alle fibre.
  • Disturbi evacuativi: si tratta di una serie di condizioni caratterizzate dall’incapacità di vuotare il retto per incoordinazione muscolare o per anomalie anatomiche. Tra questi ricordiamo il rettocele, le dissinergie del pavimento pelvico, l’anismo, la sindrome del perineo discendente e il prolasso rettale. Nei casi in cui l’anomalia non è anatomica, il disturbo evacuativo può seguire eventi traumatici delle strutture del pavimento pelvico come interventi chirurgici o il parto. Il paziente solitamente riferisce ponzamenti frequenti ma inefficaci nell’espellere feci e il dover ricorrere a manovre manuali per mobilizzare le feci.

DIAGNOSI

L’efficace diagnosi ed inquadramento clinico della stipsi parte da un’accurata anamnesi. In particolare, oltre a domandare la durata dei sintomi, la frequenza delle evacuazioni e l’entità del ponzamento, il medico deve riconoscere possibili sintomi di allarme come calo ponderale, anemia, ematochezia, che devono far pensare a stipsi di natura organica di tipo tumorale. L’anamnesi deve inoltre tenere in conto i farmaci che il paziente assume e le comorbidità. Anche una recente insorgenza di stipsi deve far pensare a stipsi organiche, mentre una lunga durata dei sintomi senza particolari variazioni orienta maggiormente per stipsi funzionali. Una storia di interventi chirurgici che ha coinvolto le strutture pelviche può orientare verso i disturbi evacuativi. Infine, una storia di disagio psichico o di abusi non va trascurata.

Nel corso dell’anamnesi infine bisogna indagare sulle abitudini alimentari e lo stile di vita. Una insufficiente assunzione di acqua nel corso della giornata o un ridotto apporto di fibre nell’alimentazione sono la principale causa di stipsi. Alcune abitudini, come il non fare colazione o l’uscire di casa per andare a lavoro subito dopo essersi svegliati, sono deleterie per l’evacuazione in quanto non viene concesso all’organismo il tempo di attivare il riflesso gastro-colico. Anche una attività fisica ridotta contribuisce all’insorgenza della stipsi.

Nel corso dell’esame obiettivo, l’esplorazione rettale riveste un ruolo fondamentale, in quanto consente di valutare l’entità della forza di contrazione dello sfintere anale, o un suo eventuale movimento verso il basso durante il ponzamento, indice della sindrome del perineo discendente. Durante l’esplorazione rettale, inoltre, è possibile riconoscere emorroidi, ragadi, neoplasie del retto inferiore, prolassi rettali o stenosi.

Esistono diverse indagini diagnostiche che si possono applicare in caso di stipsi per un inquadramento più accurato.

Il test con marker radiopachi consente di stimare il tempo di transito nel colon. Il paziente ingerisce degli anelli o delle palline radiopache, e a seguire vengono registrate delle Rx dirette addominali a intervalli stabiliti. Nei soggetti normali, il tempo medio di transito del colon è 30-40 h. La presenza di marker oltre un limite di 72h distribuiti omogeneamente lungo tutto il colon suggerisce una ridotta motilità, mentre un accumulo dei marker nel retto-sigma può far propendere per un disturbo evacuativo.

Anche la capsula endoscopica può essere utilizzata per stimare il tempo di transito, ma viene meno utilizzata. Trova maggiormente applicazione in chi è candidato a una colectomia totale o se è necessaria una valutazione dell’intero intestino.

Il transito scintigrafico del colon viene valutato facendo ingerire un pasto (in genere un panino e un uovo marcato con tecnezio o acqua marcata con indio) e scattando con gamma camera immagini seriali. Si è visto che questa tecnica è sovrapponibile al test con marker radiopachi, ma è disponibile solo in pochi centri specializzati.

La defecografia è un test funzionale per l’evacuazione. Consiste nell’esecuzione di un clisma con bario molto denso. Il paziente quindi viene invitato a defecare su un water radiotrasparente mentre, tramite fluorografia, vengono registrate in tempo reale le immagini relative. In questa maniera è possibile valutare anomalie strutturali come il rettocele, movimenti del retto verso il basso durante il ponzamento, tipici della sindrome del perineo discendente, e si può stimare il grado di svuotamento del retto e misurare l’angolo ano-rettale. La defecografia mediante risonanza è più precisa rispetto a quella classica in quanto permette di individuare un numero maggiore di anomalie e non espone a radiazioni ionizzanti.

Il test di espulsione del palloncino misura la capacità evacuatoria del retto e trova indicazione nelle dissinergie del pavimento pelvico e, quindi, nei disturbi evacuatori in generale. Di solito viene eseguito insieme alla manometria anorettale.

La manometria anorettale valuta le pressioni degli sfinteri sia a riposo sia durante sforzo evacuativo. Inoltre può identificare il venir meno del riflesso inibitorio ano-rettale se, durante la distensione del retto con palloncino, non si verifica il rilasciamento dello sfintere. La manometria può individuare elevate pressioni a riposo, come nelle ragadi anali, o una iposensibilità, che può essere secondaria a patologie neurologiche

TRATTAMENTO

Il primo trattamento, non farmacologico, della stipsi, consiste nel modificare le abitudini di vita deleterie per una corretta evacuazione. Cercare di destinare il tempo necessario all’evacuazione, senza andare di fretta, e regolarizzare l’evacuazione ad uno stesso orario della giornata può essere molto importante. Usare un supporto che tenga in alto i piedi, in modo da assumere una posizione più accovacciata possibile durante l’evacuazione facilita lo svuotamento dell’ampolla rettale. Inoltre, adottare uno stile di vita dinamico, meno sedentario possibile, è altrettanto importante.

In seconda battuta, un’adeguata assunzione di liquidi e fibre è fondamentale.

Aumentare ad almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno l’idratazione evita la formazione di feci dure e disidratate e migliora l’efficacia delle fibre.

Per quanto riguarda queste ultime, si è visto che occorrono almeno 12g/die di fibre per migliorare la consistenza delle feci, e pertanto il target di assunzione delle fibre per soggetti stitici è di 20-25 g/die, ma anche di più nelle donne.

Lo psillio è una sostanza derivata dalla buccia dell’Ispaghula. È una fibra idrosolubile che, insieme all’acqua, crea una massa gelatinosa che aumenta il volume fecale. La dose consigliata è di 4-6 g/die. Essendo soggetta a degradazione batterica, può causare gonfiore e flatulenza.

La metilcellulosa è una fibra semisintetica che inibisce i processi di fermentazione batterica nel colon, e pertanto causa meno gonfiore addominale dello psillio. Data a un dosaggio di 4-6 g al dì permette di aumentare il volume e il contenuto di acqua nelle feci.

Altri prodotti a base di fibra sono la gomma di guar e il policarbofil. Tra le fibre non idrosolubili alimentari, ricordiamo i derivati della crusca.

È importante assicurare un adeguato contenuto di fibre non solo attraverso integratori alimentari, ma incentivando l’ingestione durante i pasti di farine integrali, frutta e verdura. In linea generale, le fibre sono efficaci nella stipsi lieve-moderata, ma non sono efficaci nelle stipsi da rallentato transito, quando vi è alla base un danno neurogeno o nei disturbi dell’evacuazione.

I Sali di fosfato, solfato e magnesio hanno attività osmotica e pertanto richiamano acqua nelle feci. Pur essendo efficaci, è importante non abusarne perché possono causare insufficienza renale, in particolare negli anziani.

Il lattulosio è un disaccaride sintetico non assorbibile formato da fruttosio e galattosio. Non venendo assorbito, viene fermentato dalla flora intestinale e trasformato in acidi grassi a catena corta, che sono osmoticamente attivi. Dalla fermentazione però si produce anche idrogeno e metano, perciò il più comune effetto indesiderato è il gonfiore addominale. Il dosaggio raccomandato nell’adulto è circa 15-30 ml per due o tre volte al giorno. L’efficacia è dose dipendente e si manifesta dopo 2-3 giorni dall’inizio dell’assunzione.

Il polietilen glicole (PEG) è uno dei composti sintetici più usati tra quelli a meccanismo osmotico. Non venendo degradato dalla flora colica, flatulenza e distensione sono meno comuni che col lattulosio. A dosaggi compresi tra 17 e 34 g/die, si è dimostrato molto efficace anche nelle stipsi severe e nelle forme croniche.

I lassativi stimolanti sono sostanze che agiscono aumentando la motilità intestinale o incrementando la secrezione di sali nel lume intestinale. Il loro effetto inizia poche ore dopo l’assunzione, e si manifesta invariabilmente con insorgenza di crampi addominali. L’uso di queste sostanze è generalmente indicato una tantum per risolvere situazioni momentanee di stipsi, e non in cronico. Infatti, si tratta di sostanze che possono generare abuso e causare effetti dannosi come l’apoptosi delle cellule epiteliali che, a lungo termine, portando al “colon catartico” e alla pseudo melanosi colica. I più importanti lassativi stimolanti sono gli antrachinoni (cascara, senna, aloe, frangula), l’olio di ricino e i derivati del difenilmetano (bisacodile, sodio picosolfato, fenolftaleina).

L’utilizzo di clisteri ha il fine di ammorbidire le feci, nel caso di feci dure impattate nell’ampolla rettale, come nel caso dei fecalomi, o di stimolare la contrazione della muscolatura rettale in reazione alla distensione delle sue pareti. La complicanza più frequente è il danno della mucosa per improvvisa inserzione della sonda rettale. Le sostanze che più comunemente possono essere usate per clisteri sono soluzioni di fosfato, saline, saponi o glicerine.

La linaclotide è un peptide che attiva la guanilato ciclasi C nelle cellule epiteliali. La conseguenza è un accumulo di cGMP che esita nell’ipersecrezione di cloro e bicarbonato. Ad un dosaggio di 290 microgrammi al giorno, è risultata estremamente efficace in pazienti con stipsi cronica nell’aumentare il numero di evacuazioni settimanali e contrastare l’indurimento fecale. Inoltre può ridurre gonfiore e fastidio addominale. L’effetto avverso più comune è la diarrea che può insorgere già alla prima somministrazione e che può essere causa di interruzione di trattamento. La linaclotide è stata approvata sia per la stipsi sia in pazienti con intestino irritabile-variante stipsi, ma solo in età superiore ai 18 anni.

La prucalopride è un agonista del recettore della serotonina 5-HT4. Agisce accelerando la motilità intestinale. Il dosaggio raccomandato giornaliero è di 2 mg o 1 mg al giorno (quest’ultima dose raccomandata in anziani fragili e cirrotici o nell’insufficienza renale). È un farmaco molto efficace, con tutti gli studi che hanno dimostrato superiorità rispetto al placebo. Gli effetti avversi più comuni sono nausea, cefalea e diarrea, mentre eventi cardiologici non sono segnalati in maniera superiore rispetto al placebo, in virtù della selettività verso l’isoforma recettoriale intestinale.

Altri farmaci sono in fase di studio, o approvati solo negli USA. Tra questi ricordiamo il lubiprostone, il tagaserod e gli antagonisti del recettore per oppioidi mu. Tra i farmaci meno comunemente usati è da citare la neostigmina, un agente agonista colinergico, che trova indicazione nella stipsi di soggetti con pseudo-ostruzione intestinale cronica in singola dose endovena.

Infine possiamo esaminare alcune forme di terapie complementari, tra le quali menzioniamo:

  • La rieducazione alla defecazione, che prevede sedute basati su colloqui in cui il paziente descrive i sintomi e le proprie difficoltà e, dall’altra parte, il medico insegna quelle che sono le modifiche comportamentali necessarie a superarle. Si tratta principalmente di consigli dietetici (acqua e fibre), consigli sulle cattive abitudini negli stili di vita, indicazioni allo svezzamento da lassativi stimolanti e insegnamento della miglior posizione da assumere sul water durante la defecazione;
  • Il biofeedback anorettale è una forma di riabilitazione neuromuscolare che trova indicazione nelle stipsi da alterazioni del pavimento pelvico o nelle dissinergie. Dopo l’inserzione di feci artificiali in silicone o di un palloncino, il paziente attraverso un supporto visivo di una traccia pressoria, impara quali sono i movimenti di ponzamento e contrazione che gli risultano più efficaci nell’espellere le feci. Attraverso la ripetizione stereotipata di tali azioni, il paziente riesce a riprodurre le contrazioni adeguate anche a casa, e senza l’utilizzo dei supporti visivi. Il numero di sedute necessarie e la loro frequenza sono variabili da paziente a paziente, ma si può arrivare anche a 6 mesi;
  • La stimolazione del nervo sacrale attraverso un elettrodo/pacemaker può trovare indicazione dopo il fallimento del biofeedback. Consiste in un generatore di impulsi esterno collegato, attraverso un filo elettrico, al plesso sacrale;
  • La colectomia è la soluzione in extrema ratio dopo ripetuti fallimenti, in pazienti con documentato transito rallentato.

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Approfondimento a cura di:

Alfredo Di Leo
Prof. Alfredo Di Leo

Il professor Alfredo Di Leo ha conseguito nel 1980 la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Bari e nel 1984 presso la stessa Università la Specializzazione...

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